Marmolada (Rifugio)(abbandonato)
Marmolada (Rifugio)
Sul significato di Rifugio Alpino (di Giorgio Fontanive, presidente della sezione Agordina del CAI )
Un problema che angustiò i primi alpinisti fu la consapevolezza della propria assoluta vulnerabilità in caso di eventi meteorologici in grado di scatenarsi con una violenza via via maggiore man mano l’esplorazione dei monti li spingeva sempre più in alto. Ma la necessità di conoscere l’ubicazione di un riparo dove potersi rifugiare venne condizionata anche dall’opportunità di avere un sicuro punto di riferimento intermedio tra le mete più remote ed il fondovalle sì da avere dei tempi ridotti per poter raggiungere le cime; una funzione questa che, fin sul finire dell’Ottocento venne egregiamente sostituta dagli alpeggi e dalle malghe che costellavano gran parte delle montagne fin quasi al limite superiore della vegetazione arborea. Contemporaneamente la realizzazione di alcuni ricoveri alpini venne anche collegata a motivazioni in parte strettamente paesaggistiche, simbiosi con una frequentazione turistica affermata e dunque collegata a scopi puramente commerciali.
Nella stagione dolomitica i dislivelli di gioco decisamente inferiori rispetto a quelli delle grandi Alpi rallentarono la nascita del rifugio alpino propriamente detto nonostante la presenza dei potenti sodalizi austro-tedeschi che, solo sul finire degli anni ’70 dell’Ottocento, iniziarono la loro opera di organizzazione logistica ad alta quota. La rete dei punti d’appoggio che sin qui delineò ebbe comunque inizio dai gruppi di maggior attrazione: le Tre Cime di Lavaredo e le Torri del Vajolet per poi diffondersi come una triangolazione i cui capisaldi distavano tra loro solo alcune ore di cammino.
Al centro di questo scenario si inserì l’iniziativa della Sezione Agordina del CAI: con un sostanziale anticipo sui tempi, il sodalizio valutò nel 1875 la fattibilità di un ricovero alpino ad alta quota. Il luogo prescelto fu la Marmolada ed in particolare il costone che digrada da Punta Penìa verso il ghiacciaio. Nel progetto l’ingresso del rifugio venne ubicato a circa 3000 metri a circa mezz’ora di cammino dalla vetta. Le motivazioni dell’opera, fermamente voluta per scopi puramente estetici e realizzata in caverna, si accentrarono sulla possibilità di offrire un riparo non solo in caso di meteo avverso ma anche per godere del mirabile paesaggio dolomitico nei momenti crepuscolari o auroreggianti in piena sicurezza spazio-temporale. Dal punto di vista turistico gli intenti iniziali non ebbero successo per sopravvenuti problemi di infiltrazioni che decretarono il subitaneo abbandono (1877) del rifugio ma non senza lasciare una profonda traccia ed una valenza che anche oggi travalica le frontiere.
L’opera venne infatti eseguita da operai agordini con massiccio uso di esplosivo oltre il confine internazionale austro-italiano fissato lungo il ghiacciaio della Marmolada denominato in quella occasione “Ghiacciaio dell’Allenza”. Il tutto fu suggellato da una collaborazione sottoscritta dagli alpinisti agordini e Trentini in un patto di fratellanza del quale possediamo ancora copia e che è esempio di semplicità, d’armonia e di concordia.
Il rifugio alpino non semplicemente la meta intermedia per l’ascensione alla cima del monte ma soprattutto importante luogo di ritrovo e punto d’incontro per intrecciare nuovi legami, saldare straordinarie amicizie e offrire ricordi in un significato che, sovente, ci accompagnerà fin oltre la vita.